Un lavoratore ha diritto al rimborso spese se è costretto dal datore di lavoro a percorrere più strada, il giudice non ha alcun dubbio.
Le controversie tra datore di lavoro e dipendenti (ma spesso anche con chi è libero professionista) sono numerose, anzi ci sono imprenditori che sono coscienti della situazione di crisi che coinvolge il nostro Paese e per questo tendono a non rispettare i diritti di chi svolge ogni giorno un ruolo. Il principio che li porta ad agire in questo modo non è difficile da capire, trovare un altro impiego è difficile, per questo si pensa che trattare male gli altri non comporti la volontà di dare le dimissioni.
In realtà, il rispetto dovrebbe esserci da entrambe le parti, anche se non sempre questo concetto viene poi applicato nei fatti. Questo non significa che un capo non debba segnalare un errore, ipotesi che è da mettere in conto, ma che sarebbe bene farlo con educazione e senza alzare troppo i toni.
Conoscere quali siano i diritti e i doveri di ognuno può quindi essere importante, così da capire se ci siano degli abusi di potere e potersi difendere. Non mancano infatti le possibilità di sostenere le proprie ragioni quando si notano situazioni che sono ormai diventate insostenibili.
Non è raro che un datore di lavoro possa chiedere di effettuare trasferte, a volte si tratta di qualcosa che è già stabilito al momento del contratto e che porta a fare decine di chilometri ogni giorno, in altre invece può trattarsi di qualcosa di inusuale, come accade ad esempio in caso di fiere o di incontri con alcuni clienti. Sobbarcarsi questo genere di viaggi è inevitabilmente costoso, a partire dalla necessità di doversi recare più volte al distributore per fare rifornimento, operazione che negli ultimi tempi si è trasformata in un vero salasso.
A questo si aggiunge l’usura del veicolo, che può essere costretto a essere sottoposto a controlli più frequenti dal meccanico. Finalmente a dover sostenere i costi non sarà esclusivamente il lavoratore, che avrà diritto a un rimborso spese come stabilito da una recente sentenza della Corte di Cassazione, che può essere considerata storica.
Questo è quanto accaduto a una guardia giurata, dipendente dell’Istituto Puma Security, assunta e adibita a svolgere le proprie mansioni presso l’aeroporto Sandro Pertini di Caselle, che ha fatto ricorso presso il Tribunale del Lavoro di Torino chiedendo un indennizzo perché costretto a dover fare maggiore strada rispetto a quanto inizialmente previsto. L’azienda aveva provato a difendersi sottolineando che il posto che doveva raggiungere era ritenuto “sede abituale di lavoro”, per questo lui non poteva pretendere alcun risarcimento.
La realtà era però differente, per questo il lavoratore, grazie al supporto di USB Vigilanza, ha fatto valere le sue ragioni e ha ottenuto un risarcimento. Anzi, la società è tenuta a versargli anche gli arretrati. È quindi bene prestare la massima attenzione a quanto scritto nell’accordo che si sottoscrive in fase di assunzione, così da farsi rispettare ed evitare che gli imprenditori si sentano in dovere di agire in maniera arbitraria.
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