Tanti passi avanti già fatti, ma va migliorata la consapevolezza general: il piano contro le epatiti di natura virale.
La ricerca scientifica e la sanità continuano a fare passi da gigante contro le infezioni virali del fegato. Basti pensare che l’epatite C, un tempo letale, è oggi una malattia curabile. Le istituzioni, nazionali e transnazionali, infatti, hanno puntato tanto sulle strategie per l’eliminazione di questi mali. Ecco, allora, gli obiettivi per il trattamento dei pazienti affetti da HCV da raggiungere entro il 2030.
Ovviamente, anche se può sembrare ovvio, gran parte di questo progetto si focalizza sull’importanza di identificare le infezioni non diagnosticate, incoraggiando i Paesi a implementare efficaci programmi di screening. In Italia, sono stati fatti passi significativi nella lotta contro l’epatite C, con oltre 250.000 trattamenti avviati e la creazione di un fondo specifico per lo screening nella popolazione generale, nonché tra i tossicodipendenti e i detenuti.
Tuttavia, permangono diverse questioni da approfondire, tra cui l’efficacia della terapia in relazione all’età, il monitoraggio post-trattamento e le terapie per i pazienti pediatrici. È necessario aumentare la consapevolezza, migliorare le opportunità terapeutiche e garantire un monitoraggio e un controllo adeguati per tutti i pazienti affetti da queste condizioni.
Il piano per debellare le epatiti virali
Accanto all’epatite C, l’epatite B rimane una preoccupazione significativa inclusa nella strategia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere le epatiti virali. In Italia, l’infezione da HBV è principalmente confinata a specifiche fasce d’età e gruppi di popolazione, grazie alla vaccinazione obbligatoria che ha immunizzato quasi tutte le persone sotto i 43 anni. Tuttavia, ci sono ancora molti portatori del virus, prevalentemente tra gli over 43, specialmente tra gli over 65, e tra gli immigrati provenienti da aree ad alta prevalenza come l’Est Europa e l’Africa.
Questa situazione evidenzia che l’epatite B è tutt’altro che irrilevante in termini di diffusione. Inoltre, esistono infezioni sommerse in persone con più di 43 anni che hanno contratto il virus decenni fa, il che aumenta il rischio di complicazioni epatiche come la cirrosi. La scarsa conoscenza della popolazione generale sui test per rilevare l’infezione e le opportunità terapeutiche aggrava ulteriormente la situazione.
L’epatite delta (HDV) è considerata la forma più grave di epatite virale e rappresenta un problema significativo per la salute pubblica. Rispetto alla monoinfezione da HBV, la coinfezione HDV/HBV aumenta il rischio di cirrosi di 2-3 volte, il rischio di carcinoma epatocellulare di 3-6 volte e il rischio di morte di 2 volte. Inoltre, il 30% dei pazienti con HDV sviluppa cirrosi entro cinque anni.
In Italia, manca una stima precisa delle persone affette da coinfezione HBV/HDV, e il basso tasso di testing contribuisce alla sotto-diagnosi di questa condizione. La scarsa conoscenza dell’HDV, sia tra la popolazione generale che tra i portatori di HBV, rappresenta una barriera significativa per una diagnosi e un trattamento efficaci.